Quando il dottor W. Sutherland, osteopata americano vissuto a cavallo
tra il XIX° e il XX° secolo, intuì che le ossa del cranio potevano articolarsi
tra loro, decise di verificarlo empiricamente. Iniziò osservando minuziosamente
le suture dei crani fino a riuscire poi a dimostrare la mobilità delle ossa e
l'eventuali lesioni che ne compromettevano il movimento. Realizzò dei caschi
con cinghie di pelle, tiranti, in modo da poter stringere o allentare singole
zone anatomiche del proprio cranio e verificarne le conseguenze, annotandosi
ogni sensazione fisica ed emotiva. Una ricerca che andò avanti per tutta la sua
vita e che presentò dopo trenta anni nell'ambiente osteopatico. Le sue
intuizioni erano talmente all'avanguardia che dopo un primo periodo di
scetticismo, diventarono oggetto di studio e si trasformarono in una vera e
propria scuola: l'approccio craniosacrale.
Le lesioni di cui parlava Sutherland sono schemi di tensione che si
imprimono nei tessuti e che possono derivare sia da traumi di varia origine
così come per le conseguenze della nascita. Lo svolgimento del parto è uno
degli avvenimenti più formativi della nostra vita: nel passaggio attraverso il
bacino della madre, il neonato si trova a sopportare intense compressioni che
spesso rimangono impresse e condizionano il movimento delle ossa, soprattutto
nella zona di collegamento tra sfenoide ed occipite (chiamata sfenobasilare).
Questi schemi si mantengono anche in età adulta, anzi nel corso degli anni
condizionano tutto il corpo: è possibile immaginare come una minima torsione
nella sfenobasilare venga poi compensata trasmettendo una torsione magari in
direzione opposta in alcune vertebre toraciche o nel bacino.
Quest'atteggiamento è possibile proprio per le innate capacità di riequilibrio
dell'organismo, il quale trova un punto al di fuori del cranio dove poter
bilanciarsi. Come quando, in piedi, spostiamo leggermente il capo ed il baricentro
in avanti e per assestarci sentiamo in tensione i polpacci nella parte
posteriore. Questi schemi di tensione non permettono un fluido movimento della
sfenobasilare, così a lungo andare, possono provocare mal di testa, sbalzi
d'umore, sinusiti, disturbi del condotto uditivo, disfunsioni
nell'articolazione temporomandibolare, disturbi nel sistema endocrino, della
vista. Tutto questo perchè una zona tra due ossa del cranio non è libera di
muoversi in modo naturale! Il motivo è
semplice: il corpo è un tutt'uno, le singole parti sono in relazione tra di
loro in modo diretto o indiretto. Pensiamo ad esempio alla ghiandola pituitaria
o ipofisi che è appoggiata sullo sfenoide e che rilascia i suoi ormoni grazie
al movimento dello sfenoide stesso che la culla (la zona su cui poggia si
chiama proprio “sella turcica”). Se lo sfenoide presenta uno schema di tensione
che ne ostacola il movimento, l'ipofisi non potrà svolgere il proprio lavoro
nelle condizioni ottimali. Pensiamo ancora allo sfenoide, attraverso il quale
passano diversi nervi cranici: se immaginiamo che ci sia una leggera torsione
possiamo supporre che quei nervi che son posizionati nel lato in cui la
torsione è accentuata abbiano meno spazio, addirittura delle restrizioni che
possano ostacolarne la funzionalità (se fosse il nervo oculomotore potrebbe
presentarsi uno strabismo). Per chi soffre di mal di testa, spesso, può esserci
la sensazione di sentire una zona, un punto in cui c'è compressione, una
pulsione, una rigidità...e qual'è il desiderio della persona in quel momento?
Che il mal di testa passi, magari che la zona cominci ad ammorbidirsi, a
respirare, ad essere più luminosa, ecc...
Spesso questa è la sensazione che si prova quando viene trattato uno
schema di tensione con l'approccio craniosacrale, quando avviene un
riequilibrio e la zona ha modo di esprimersi più naturalmente.
Nessun commento:
Posta un commento