lunedì 30 giugno 2014

L'APPROCCIO ALLE LESIONI CRANIOSACRALI




 

Quando il dottor W. Sutherland, osteopata americano vissuto a cavallo tra il XIX° e il XX° secolo, intuì che le ossa del cranio potevano articolarsi tra loro, decise di verificarlo empiricamente. Iniziò osservando minuziosamente le suture dei crani fino a riuscire poi a dimostrare la mobilità delle ossa e l'eventuali lesioni che ne compromettevano il movimento. Realizzò dei caschi con cinghie di pelle, tiranti, in modo da poter stringere o allentare singole zone anatomiche del proprio cranio e verificarne le conseguenze, annotandosi ogni sensazione fisica ed emotiva. Una ricerca che andò avanti per tutta la sua vita e che presentò dopo trenta anni nell'ambiente osteopatico. Le sue intuizioni erano talmente all'avanguardia che dopo un primo periodo di scetticismo, diventarono oggetto di studio e si trasformarono in una vera e propria scuola: l'approccio craniosacrale.

Le lesioni di cui parlava Sutherland sono schemi di tensione che si imprimono nei tessuti e che possono derivare sia da traumi di varia origine così come per le conseguenze della nascita. Lo svolgimento del parto è uno degli avvenimenti più formativi della nostra vita: nel passaggio attraverso il bacino della madre, il neonato si trova a sopportare intense compressioni che spesso rimangono impresse e condizionano il movimento delle ossa, soprattutto nella zona di collegamento tra sfenoide ed occipite (chiamata sfenobasilare). Questi schemi si mantengono anche in età adulta, anzi nel corso degli anni condizionano tutto il corpo: è possibile immaginare come una minima torsione nella sfenobasilare venga poi compensata trasmettendo una torsione magari in direzione opposta in alcune vertebre toraciche o nel bacino. Quest'atteggiamento è possibile proprio per le innate capacità di riequilibrio dell'organismo, il quale trova un punto al di fuori del cranio dove poter bilanciarsi. Come quando, in piedi, spostiamo leggermente il capo ed il baricentro in avanti e per assestarci sentiamo in tensione i polpacci nella parte posteriore. Questi schemi di tensione non permettono un fluido movimento della sfenobasilare, così a lungo andare, possono provocare mal di testa, sbalzi d'umore, sinusiti, disturbi del condotto uditivo, disfunsioni nell'articolazione temporomandibolare, disturbi nel sistema endocrino, della vista. Tutto questo perchè una zona tra due ossa del cranio non è libera di muoversi  in modo naturale! Il motivo è semplice: il corpo è un tutt'uno, le singole parti sono in relazione tra di loro in modo diretto o indiretto. Pensiamo ad esempio alla ghiandola pituitaria o ipofisi che è appoggiata sullo sfenoide e che rilascia i suoi ormoni grazie al movimento dello sfenoide stesso che la culla (la zona su cui poggia si chiama proprio “sella turcica”). Se lo sfenoide presenta uno schema di tensione che ne ostacola il movimento, l'ipofisi non potrà svolgere il proprio lavoro nelle condizioni ottimali. Pensiamo ancora allo sfenoide, attraverso il quale passano diversi nervi cranici: se immaginiamo che ci sia una leggera torsione possiamo supporre che quei nervi che son posizionati nel lato in cui la torsione è accentuata abbiano meno spazio, addirittura delle restrizioni che possano ostacolarne la funzionalità (se fosse il nervo oculomotore potrebbe presentarsi uno strabismo). Per chi soffre di mal di testa, spesso, può esserci la sensazione di sentire una zona, un punto in cui c'è compressione, una pulsione, una rigidità...e qual'è il desiderio della persona in quel momento? Che il mal di testa passi, magari che la zona cominci ad ammorbidirsi, a respirare, ad essere più luminosa, ecc...

Spesso questa è la sensazione che si prova quando viene trattato uno schema di tensione con l'approccio craniosacrale, quando avviene un riequilibrio e la zona ha modo di esprimersi più naturalmente.

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